GUSTO - GAZZETTA DI PARMA
a cura di Sandro Piovani
CHICHIBIO
Sarà davanti a un bicchiere di cannonau che Giuseppe Mesina si scioglierà raccontando che quel suo modo di tenersi dritto, non solo in senso fisico, gli arriva da sua madre che aveva imparato a camminare così portando sulla testa ceste anche da trenta chili. Specie durante la vendemmia, in quella vigna di Sorasi a pochi chilometri dalla casa di Orgosolo, dove i suoi genitori lo portavano prima a giocare e poi per zapparla, pulirla, raccoglierne l'uva e dove oggi torna appena può. Da quella vigna viene il cannonau scuro e vinoso, semplice e pieno di profumi che ora beviamo grazie alle cure del fratello di Giuseppe diventato vignaiolo con la stessa passione e attenzione che lo guida nella professione di medico
Una storia lunga una vita
«Sono venuto a Parma nel 1976 - racconta Giuseppe Mesina - al tempo delle scuole medie: i miei fratelli studiavano qui medicina e, un'estate, venni a trovarli. Poi tornai anche gli anni successivi. Mio padre Antonio era un contadino di Orgosolo, leggeva molto, aveva testa e cultura, conosceva benissimo la storia, la Divina Commedia, I promessi sposi, I Miserabili e sapeva che per sfuggire dalla deriva delinquenziale che in quei tempi devastava il mio paese l'unico rimedio era la cultura. Voleva che studiassi, ma non avevo voglia, glielo dissi e venni a vivere qui coi miei fratelli. Frequentavo i loro compagni, giravo per gli ambienti universitari e spesso la sera si finiva all'osteria. Rimasi affascinato da quel mondo e così mi venne in mente di fare un locale con un'impronta sarda: qualcosa per condividere il mangiare, il vino, il pecorino. Orgosolo, anche se ero ancora un ragazzo, mi era diventata stretta, volevo andare via: mia madre non era d'accordo, ma mio padre disse che dovevo fare la mia vita, decidere da solo cosa fare. C'era un vecchio bar in borgo Galimberti, lo rilevai e divenne Mariposa. Per me fu come una sfida a non deludere i miei genitori che mi avevano dato l'opportunità di studiare come i miei fratelli, ma mi lasciavano libero. Pensavo che la Sardegna non era solo il nuorese e la Barbagia: anche se la mia è prevalentemente una cucina di montagna, poco per volta ho allargato l'orizzonte dei prodotti tipici. Da noi c'è molto la cultura della carne: maialetti, agnelli, I capretti, pecora che sono prevalentemente cucinati dagli uomini, mentre le donne fanno la pasta e i dolci. Essendo lontano, la cucina diventa una cosa di memoria e la scommessa fu rifare quello che avevo mangiato da bambino. Piano piano e con molti errori, ho cercato di proporre questo: ricordo che quando presentavo la pecora nessuno la voleva assaggiare, oggi molti parmigiani vengono apposta. Il pecorino era quasi sconosciuto, la bottarga anche. Come il pastore conosce le sue pecore una per una perché sta sempre insieme a loro, anche noi stando insieme impariamo a conoscerci e ad apprezzare le cose. Credo, e sono sicuro di non sbagliare, che chi ha un'apertura mentale per il cibo, ce l'ha anche nella vita. Oltre a fare l'oste mi sembra di fare anche un po' l'ambasciatore del cibo sardo, cerco di spiegare i gusti e a tante persone ho fatto la sfida del "se non le piace non me la paga, ma almeno provi" e ho quasi sempre vinto. Oggi ho clienti di ogni categoria sociale, quasi tutti parmigiani e con molti sono amico. Faccio venire tutto dalla Sardegna: vado personalmente a prendere le cose, le prenoto, ho i miei fornitori. n pane sardo, la carta da musica, è una delle cose più difficili da fare e il mio fornaio lo fa per molti sardi che vivono sul continente. La salsa di pomodoro è la Casar di Cagliari, i formaggi tutti dal pastore, non dai caseifici che pastorizzano il latte. Ti solo prodotto parmigiano sono gli spaghetti Barilla: noi facciamo le paste e i dolci, il maialetto per ragioni sanitarie non viene dalla Sardegna, ma capretti e agnelli sono sardi. Ho scelto per i lettori della "Gazzetta" la ricetta del pane frattau, perché è un piatto semplice e facile che si faceva, oggi un po' meno, in tutte le case: con un po' di sugo di pomodoro, pane, pecorino, un uovo sì mangia una cosa gustosa e veloce. Ho paura che si perda la memoria storica delle cose: le generazioni nuove devono potere conoscere questi prodotti, perché perdere la cultura del cibo vuole dire perdere le tradizioni e sono convinto che nel cibo ci sia la cultura del mio popolo e per questo, non solo per la Sardegna, è importante conoscere e preservare». Già da qualche tempo Giuseppe Mesina ha trasferito la sua attività nel «Casale Mariposa», una grande rustico perfettamente recuperato nelle campagne di Mamiano, poco distante dalla «Fondazione Magnani-Rocca». Insieme a lui lavorano la moglie Francesca e la figlia Jasmine.
Pane Frattau
E' un piatto povero della tradizione sarda in cui l'importante è avere prodotti di qualità, a cominciare dal pane Carasau, che deve essere di semola di grano duro (usiamo quello del panificio Mannu, Bitti Nu) in modo che quando viene bagnato non perda la consistenza; poi un buon pecorino con una stagionatura di al meno sette mesi (Azienda agricola Podda, Orgosolo), un sugo di pomodoro semplice, fatto con soffritto di cipolle, olio di oliva (Azienda agricola Secchi, SS), pomodori pelati , (Casar, Serramanna Ca) e infine un uovo di cortile (continentale) cotto in camicia. Prendere ''una tundina", una sfoglia di pane Carasau, tagliarla in quattro pezzi, un pentolino di acqua calda leggermente salata per cuocere l'uovo in camicia e una pentola con acqua calda leggermente salata in cui immergere per un istante con un mestolo forato un pezzo di pane Carasau. Adagiarlo sul piatto possibilmente caldo, spalmare il sugo di pomodoro caldo, spolverare con il pecorino grattugiato. Procedere con gli altri tre pezzi di pane come prima, condendo a strati e infine adagiare l'uovo in camicia sopra il pane (l'albume me deve essere bianco, il tuorlo deve rimanere liquido). Spalmare l'uovo sul pane, per poter gustare contemporaneamente i quattro sapori.
Bonappetitu a tottus.